lunedì 12 novembre 2012

Giapponeserie #1. Sushi


fugu disposto a "petali"

Tutti parliamo di sushi: cibo esotico, attorniato da un certo alone di mistero per noi Italiani per via della sua evidente opposizione alla nostra cucina tradizionale: le lasagne delle nonna, in teglia, brutte ma buonissime, contro due degli elementi più delicati al palato: pesce e riso, disposti con precisa maniacalità su un piatto da portata.
In effetti per i Giapponesi l’atto del mangiare rimane qualcosa di estremamente poco aggraziato: il Giapponese sente la necessità di dovere in qualche modo porre rimedio alla necessità che da esso deriva. I rituali e l’etichetta sono quindi diversi dai nostri: niente oggetti contundenti, come coltelli o forchette, ma solo due bastoncini, per afferrare le cose già tagliate. Le porzioni sono già accuratamente divise, e tutto è sempre servito dal personale o dalla persona ospitante.
Nella tradizione culinaria occidentale, edificazioni complesse di gusto portano il commensale a doversi destreggiare tra diversi gusti, riconoscendo oltre essi la bravura dello chef. In Giappone, invece, ogni stagione ha i suoi cibi, che corrispondono non solo a precisi gusti stagionali, ma anche a colori, forme e presentazioni. Nella degustazione la freschezza è fondamentale. Ma soprattutto è importante la moderazione: nel 1975 fece scandalo la morte di Bando Mitsugoro VIII, attore del teatro kabuki (forma di teatro tradizionale giapponese). Bando morì per colpa del fugu, il pesce palla. Il pesce palla, come ben noto, è difficilissimo da cucinare: se non è ben preparato il veleno entra nel corpo e lo paralizza progressivamente, provocando una insufficienza respiratoria. Bando sapeva i rischi che correva. In Giappone sono meno di trenta i ristoranti che possono preparare fugu. Del pesce palla, in particolare, è pregiatissimo il fegato, che, leggermente rosato in punta, viene disposto a forma di rosa sul piatto, intinto nel suo stesso veleno. Bando ne mangiò quattro porzioni. La stampa gridò all’ingordigia. Io non ho idea di come potrebbero reagire i media in Italia, ma forse tutti penseremmo che almeno è morto felice e con la pancia piena. E in effetti se per il paradiso non c’è prezzo, già che l’hai toccato con un dito, perché non afferrarlo? Certo, io penso, se fossero state lasagne sarebbe stato meglio.
Ma apparte questo, il concetto di cibo e cibarsi in Giappone mi affascina. Non è più o meno filosofico di quello italiano, ma semplicemente diverso, ma con un’idea che è di base comune a tutti i popoli: un desiderio di volere elevare la nostra natura animale per portare il cibo ad una dimensione di intelletto e sentimenti, che rende la necessità di nutrirsi non solo un bisogno primario, ma un piacere per il palato.
Con questa riflessione vi lascio e ci rivediamo alla prossima settimana!
Bye

Nessun commento:

Posta un commento